Andare oltre l'odalisca
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4 anni fa
Leggi in anteprima il 1 capitolo del libro "Il Linguaggio Segreto della Danza del Ventre" di Maria Strova
Ho cominciato a scrivere questo libro dopo aver partorito Leandro e Gabriel, i miei gemelli, e come i miei figli anche questo libro mi è stato donato dalla vita e dall’amore.
Ora, dopo quindici anni dalla sua prima pubblicazione nel 2005, hai tra le tue mani curiose la sua riedizione. Rimaneggiare il testo è stato per me un lavoro delicato, sentivo, come avviene per un figlio, che non era più mio, che piuttosto appartenesse alla vita, ai lettori e alle lettrici che leggendolo e danzandolo gli avevano dato senso di esistere.
Nel curare la riedizione, ho rispettato la vita trascorsa da questo libro e non ho voluto cambiare la sua struttura, quello che non chiedeva di essere cambiato e che funzionava così com’era, con tutte le sue imperfezioni.
Invece ho voluto aggiungere alcuni capitoli e materiali multimediali per aiutare le danzatrici, al di là dello stile che ognuna predilige, per approfondire aspetti che diamo per scontati e per ispirarle a costruire, con un metodo più consono al giorno d’oggi, un’immagine rinnovata di danza del ventre.
Stai leggendo un estratto da:
L’Harem che le persone hanno in testa
Nella prima parte del libro troverete i capitoli sugli stereotipi, sullo svuotamento di significato della danza nell’harem con le sue odalische, in sostanza l’immaginario di fondo della danza orientale costruito sull’orientalismo dell’Ottocento.
Sicuramente molti degli stereotipi legati alla danza del ventre li avrai già sentiti sulla tua pelle, dai commenti come “mi fai vedere una mossa sexy?”, alla danza orientale presentata nella solita ambientazione da “harem”. Questa immagine lede lo sforzo di dare valore alla nostra arte e ottenere un riconoscimento come danzatrici orientali; sono cliché che deprezzano quello che facciamo per passione e a volte rendono molto difficile trovare opportunità di lavoro in setting di livello.
Se le persone hanno degli harem solidamente impiantati nelle loro teste, un problema che si presenta automaticamente alla danzatrice è l’invadente presenza orientalista del mondo patinato dell’odalisca che la circoscrive ancora oggi.
Questa immagine erotizzata e oggettuale della donna da sola intende definire erroneamente il nostro mestiere. Basta guardare foto, video, i nomi dei saggi e spettacoli, per avere la conferma che quando si parla di danza orientale non si possa uscire facilmente da questo mondo, dove sembra che le donne debbano mostrarsi sessualmente disponibili, ammiccanti e rimanere in silenzio. L’immaginario di questa danza continua a essere costruito (o distrutto) intorno a uno stereotipo di donna che non ci fa bene, e non ci permette di riscoprire noi stesse esplorando nuovi linguaggi.
L’immaginario dell’odalisca che chiamo “immaginario orizzontale” sta lì, è duro a morire e pronto al consumo, è quello che ci si aspetta dalla danzatrice orientale, e questo accade sia che tu danzi per diletto sia che tu lo faccia professionalmente.
L’odalisca vende più facilmente, identifica chi siamo in automatico, e noi per prime usiamo e tramandiamo questo immaginario impoverito e distruttivo.
È vero anche che molte danzatrici subiscono questa realtà, ne soffrono e non vogliono essere identificate con quest’immagine. Vorrebbero altri modelli, ma questi altri modelli non sono facili da scoprire e attuare.
Questi nostri harem ci impediscono di attingere a una poetica più consona alla simbologia originaria di questa arte, che ha la storia millenaria di un mondo che attraverso i simboli di vita e di creatività rese la sua esperienza artistica e religiosa più elevata.
Andare oltre l'odalisca
Se il problema dell’immaginario “orizzontale”, come definisco la rappresentazione delle odalische sdraiate e disponibili, ci si presenta già dal primo appuntamento con la danza orientale, per riuscire a costruire qualcosa di diverso non possiamo aspettare che il problema si risolva indipendentemente da noi; siamo chiamate in prima persona a occuparci della nostra immagine di danzatrici, attraverso una ricerca profonda dei tesori nascosti di questa danza.
In altre parole, prima che gli altri possano mettere da parte gli harem che hanno in testa e apprezzare una versione diversa della danza del ventre, devi essere tu per prima a prendere coscienza del tuo harem personale.
Osservarci, informarci e capire i mondi che ci abitano sono i primi passi per poter fare scelte consapevoli, e magari anche attuare un po’ di pulizia mentale per permettere al nuovo di entrare.
Come danzatrice orientale ti sei addentrata in un’arte denigrata, dalla difficile identità, costruita ancora su immagini di donna non molto edificanti, e non puoi girarti dall’altra parte e continuare a danzare ignorando questa realtà. Tutte partecipiamo, in modo più o meno consapevole, alla costruzione o al disfacimento della nostra identità.
Dal mio punto di vista, il modo migliore per poter andare oltre la figura dell’odalisca è quello di costruire attraverso l’educazione un immaginario al quale essere orgogliose di appartenere: conoscere le radici della nostra arte, ampliare la nostra cultura, nutrire la nostra immaginazione per non dover cadere nella trappola dell’odalisca in mancanza di altre idee o risorse. Solo in questo modo possiamo avere gli strumenti per offrire un’altra versione, per combattere gli stereotipi, per evitare l’impoverimento artistico e l’uso improprio della danza e della nostra persona, e per poter quindi riuscire a costruire nuovi scenari.
È vero che i modelli alternativi non possono nascere senza un lavoro alla base, e non sempre a questo lavoro diamo l’importanza e lo spazio che meriterebbe. Si tratta allora di essere disposte a fare uno sforzo e compiere i sacrifici necessari per poter prendere una posizione assertiva e per cambiare le cose.
E allora, chi meglio delle danzatrici intenzionate a proporre nuove idee e progetti, per costruire un’identità più salutare che rimetta al centro la vita? Chi meglio delle danzatrici per rendersi conto del valore e dell’importanza di questo lavoro di indagine, di studio, di conoscenza?
Si tratta di andare controtendenza, contro gli egoismi: lavorare insieme, creare rete con altre persone, avere il piacere di collaborare ed essere solidali tra di noi.
Lottiamo con grandi difficoltà per continuare a danzare, per dare valore al nostro mestiere d’insegnanti e danzatrici, quindi credo valga la pena fare sacrifici e darci forza l’un l’altra. Ognuna ha i suoi granelli di sabbia da apportare per uscire dall’indolente rassegnazione, ciascuna col suo talento e un tesoro unico da offrire. Penso sia molto importante rafforzare la comunità delle danzatrici che lavorano per ottenere un’espressione della danza del ventre più salutare.
La domanda segreta della danza del ventre
Danzo da decenni ormai, e scherzo quando dico che noi danzatrici orientali siamo avvantaggiate perché fa parte della nostra disciplina anche la danza del bastone, che non è prerogativa solo della terza età, ma che potremo continuare a vivere indisturbate anche in là con gli anni. In questo istante sto incrociando le dita, per scaramanzia come si usa in Italia, per poter andare avanti ancora per molto tempo.
A volte mi sorprendo e mi chiedo come mai questo tipo di espressione mi appaga ancora oggi, e come mai mi ha permesso di dire quanto avevo da dire ogni volta, ogni anno che passa e ogni tappa della mia vita, nella transizioni, nei cambiamenti del corpo, della mente, dei sentimenti. Sono stata una donna ogni volta diversa, ed eseguo la stessa danza? Com’è possibile per una come me, così curiosa della vita e di nuove esperienze?
Credo che il motivo sia che in questa antica danza si presenta sempre qualcosa di nuovo, c’è sempre spazio per l’intervento della creatività e del gioco dell’immaginazione; inoltre è uno specchio molto importante per noi donne.
La danza del ventre, accompagnandoci nell’arco della vita, ci pone di fronte a domande molto importanti. Cosa significa essere una donna per ciascuna di noi? Perché scegliere di eseguire una danza così sensuale e forte? Cosa offre, in quanto espressione artistica, di così irresistibile e autentico da poterci guidare per tutta la vita?
Sono domande alle quali rispondiamo con il corpo, con la danza in termini di energia e tempo per vivere l’esperienza del momento, una danza che non porta a una sola risposta, perché sempre in elaborazione, definendosi, facendosi a pezzi e ricostruendosi di nuovo, ogni volta vivendo appieno nell’istante.
La danza del ventre si presta nel tempo come uno strumento di conoscenza indirizzata verso noi stesse, e usa il nostro corpo e le fasi della vita come elementi coreografici, elaborando suggerimenti per interpretare la vita stessa e confrontarsi.