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Allontanarsi dalle proprie certezze: un libro di nome Genesi

Pubblicato 6 anni fa

Leggi un estratto dal libro "La Storia di Abramo" di Igor Sibaldi e scopri come la Bibbia indichi un percorso verso una nuova ricchezza

Più o meno tremila anni fa, ai margini orientali dell’impero egiziano, qualcuno componeva il libro che attorno al 250 a.C. i traduttori greci intitolarono appropriatamente Ghénesis, cioè l’«inizio», la «nascita» e il «diventare». In quel libro erano descritti vari periodi dell’evoluzione umana; e vi si narrava di individui che, in ciascuno di quei periodi, si allontanavano da solide certezze che ad altri sarebbero bastate per sempre.

Stai leggendo un estratto da questo libro:

Di un uomo e una donna che lasciano l’Eden e i suoi divieti. Di Caino, che non sopporta i recinti costruiti da suo fratello Abele. Di Noè, che abbandona una società vecchia per scoprire un nuovo modo di vivere. Di Abram, che soltanto dopo aver lasciato il suo paese, accumula grande ricchezza e saggezza, e via dicendo.

Ciascuno di costoro impara a diventare molto diverso da com’era all’inizio. In qualche modo, nascono tutti due volte: prima da qualcuno, poi da se stessi. E, di racconto in racconto, ci si accorge che chi scrisse il libro della Genesi voleva insegnare le dinamiche di questo diventare, e più ancora; destarle nei lettori, e guidarli - cosi come nel libro seguente, l'Esodo, Mosè guida un popolo via dall’Egitto, verso la Terra Promessa.

Cose antiche - pensavo anch’io, come tanti, quando questi miei studi erano agli inizi -, avventure che risalgono forse alla Media Età del Bronzo; archeologia religiosa; una bella direzione per distogliersi dalla nostra attuale Età della Crisi. E mi piacque l’incontro che ne derivava: leggendo la Genesi fuggivo dall’oggi, per esplorare la mente di persone che più di tremila anni fa fuggivano verso il futuro.

La mia ipotesi principale era che a fondamento della Genesi vi fossero rituali iniziatici, in gran parte egiziani; e la cosa mi interessava in maniera particolare, dato che stavo progettando una psicologia tutta basata sul concetto di iniziazione. Poiché quei rituali egiziani erano indubbiamente segreti, chi cominciò a scrivere la Genesi doveva essere qualche eretico che voleva rivelarli a tutti, e che perciò li adattava in forma di racconto. Una volta ammessa questa idea relativamente originale, appaiono in tutt’altra luce il furto dei frutti proibiti della conoscenza, e la cacciata dall’Eden, e la divulgazione dei segreti di Noè da parte di suo figlio Ham (Genesi 9,22)... Per quell’eretico provavo un’istintiva simpatia; il grave problema era che ne capivo pochissimo il linguaggio, o meglio: percepivo nel suo lessico particolarità che né l’ebraico moderno né i miei manuali di ebraico antico potevano chiarire, e non mi raccapezzavo in nessun modo. Poi ebbi la fortuna di imbattermi nel poderoso volume di Fabre d’Olivet, La langue hebraìque restituée (Parigi 1815), che, oltre ad argomentare splendidamente quella stessa ipotesi ereticale, forniva il più bel dizionario d’ebraico antico che potessi desiderare. E grazie a Fabre, nel 1998 pubblicai il mio primo libro sul racconto della Creazione, e l’Eden, e Caino, e il Diluvio.

Ma se c’è una cosa che chi ha cominciato a studiare la Genesi non può smettere di fare, è continuare a studiare la Genesi e a trovarvi cose nuove. Negli anni seguenti, una di queste novità fu che la mia idea di antico (ovvia, aritmetica, misurata con il calcolo dei millenni) si dissolse. Notavo che il testo mi appariva tanto più remoto, arcaico, e oscuro, quanto più davo credito a ciò che se ne dice oggi: ovvero, era il presente a farmelo sembrare antico; ma non valeva l’inverso, il testo della Genesi, cosi come mi si veniva chiarendo, non mi appariva affatto superato dalla cultura attuale dell’Occidente.

Se, poniamo, si osserva la fotografia di un biplano, si riconosce con facilità ciò che nel biplano è via via diventato antico grazie ai cambiamenti che hanno portato al jet; leggendo la Genesi, invece, e confrontandola con le religioni che si basano sulla Bibbia, ci si accorge di come queste ultime poggino su concetti vaghi (per esempio, la creazione dal nulla), incoerenti (per esempio, la bontà divina) e applicati in maniera meccanica, mentre nella Genesi quei concetti non si trovano, e tutto quel che vi si trova risulta chiaro, a chi prova a riflettervi. Dimodoché questo libro antico sta al jet, e le religioni attuali o stanno al biplano, o non volano proprio.

Così, cominciai a liberarmi la mente da tutto ciò che dicono della Bibbia le autorità religiose e gli esperti in materia - sui quali le autorità religiose esercitano un influsso irresistibile, quasi che accanto alla loro scrivania sieda sempre un sacerdote. Mi ci volle un bel po’, ma, alla fine, arrivai a leggere la Genesi come se non avessi mai saputo nulla del monoteismo, del peccato originale, della mistica del popolo eletto e via dicendo; e la conseguenza fu che nei miei scritti e nelle mie conferenze cominciai a spiegare cose di cui la gente non aveva mai sentito parlare, ma che da almeno tremila anni erano lì, nel testo ebraico - ben visibili a chiunque si fosse preso la briga di guardare. Alcune persone si risentivano; altre erano entusiaste; nessun esperto e nessuna autorità religiosa commentarono il mio lavoro (questo l’avevo messo in conto); io, semplicemente, gioivo di come quella che all’inizio mi era sembrata un’immersione nel passato, stesse trasformandosi nella scoperta di un modo di pensare che da più di tremila anni era rimasto futuro.

Rifiuto l’idea che questa scoperta rappresenti un problema per la sensibilità di qualche credente delle tre grandi religioni che si dicono fondate sulla Bibbia. Quelle religioni hanno la loro storia, le loro ragioni, la loro severa necessità, che con il testo della Genesi non hanno nulla a che vedere, e che a me non importa mettere in discussione; quanto alla mia personale sensibilità, il mio amore per le due religioni a cui sono stato educato - cristianesimo ed ebraismo - rimane sempre inalterato: è solo che la Genesi va altrove, a passo diverso, più ampio, più agile del passo della nostra civiltà che, per tanti versi, somiglia a quello che Mosè chiamava Mizraymah, l'Egitto. E nessun credente ci rimetterà nulla a constatarlo, scoprendo una traduzione diversa da quelle che pubblicano le case editrici religiose.

Piuttosto, ciò che trovo nella Genesi è, spesso, in rotta di collisione con gli orientamenti della nostra psicologia occidentale, e fa risultare arcaica anche quest’ultima. I racconti della Genesi descrivono, infatti, e insegnano a usare alcune aree della psiche, che la psicologia attuale ignora e che gli antichi, invece, dovevano conoscere bene. Ma quelle aree «antiche» sono tuttora vive e fruttuose e promettenti, e contraddicono a tal punto ciò che la psicologia attuale sa del «subconscio», dell’«inconscio» e dell'«inconscio collettivo», da imporre una radicale revisione di questi termini.

Purtroppo, da un pezzo la psicologia occidentale è diventata ancor più bisbetica delle religioni, nei riguardi delle novità; e temo perciò che negli psicologi, almeno per qualche tempo, il mio lavoro non susciterà la curiosità che vorrei. Sotto questo rapporto, non mi resta che scrivere come se il periodo attuale della nostra cultura fosse già passato - rivolgendomi agli psicologi così come saranno nel 2050 o giù di lì, e immaginando le loro obiezioni, per non sentirmi troppo solo nel mio procedere.

Quanto a quelli che non hanno passioni religiose o forti credenze psicologiche, ma solo dubbi più o meno coraggiosi, vado più sul sicuro. Rischierò di annoiarne qualcuno con le precisazioni di carattere filologico (a cui io tengo: è la mia scienza, ne ho bisogno per pensare), in compenso cercherò di essere altrettanto preciso nell’enucleare le istruzioni che il testo della Genesi dà, in ciascun capitolo, a chi vuole lasciarsi indietro una civiltà diventata troppo piccola. Ho cominciato a farlo due anni fa, con il Libro della Creazione (una riedizione, riveduta e ampliata, del libro uscito nel 1998) e proseguo ora, con tutto ciò che ho trovato nel racconto di Babele e in quello di Abram.

Riassumo qui di seguito i criteri della mia interpretazione del testo, così come sono arrivato a elaborarli in questi anni.


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