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Immaginate una tenda rossa

Pubblicato 4 anni fa

Femminile sacro, sorellanza e fioritura personale: perché ne abbiamo così tanto bisogno?

Giunte all’ultimo capitolo del libro La tenda rossa di Anita Diamant, ci siamo guardate, un po’ dispiaciute per la fine di quella storia che risuonava nelle nostre cellule e spargeva semi di desiderio di un femminile ancestrale che tornasse a riemergere seppur accompagnato da nuove consapevolezze.

Ci siamo chieste come sarebbe una vita scandita da sole, luna, stagioni terrestri e stagioni corporee, in cui le donne hanno un luogo e un tempo per ascoltare e osservare il proprio sangue e la propria ciclicità, per insegnarsi, raccontarsi, crescere insieme, creare un’alternativa a un mondo che oggi scorre a misura d’uomo, dritto come una linea, senza mai una curva di femminilità, una tenda rossa, appunto. Ci siamo chieste come sarebbe ritornare ad antichi mestieri: cardare, filare la lana, trasformare le erbe, fare il pane; come sarebbe dare un ordine, un ritmo e un tempo ad ogni azione, con le sue ritualità e gestualità.

IL VILLAGGIO ANCESTRALE: RITUALITÀ E FIORITURA

Vorremmo immaginare la donna nelle sue fasi, all’interno di questo villaggio, che cammina nella sua evoluzione e fioritura, attorniata da altre donne coscienti, ma anche uomini virili. Immaginiamo una bambina, che può far affidamento su più madri, sorelle, nonne e maestre, che le pettinano i capelli mentre cantano mantra curativi o le raccontano storie ricche di coscienza al sorgere della luna. Una bambina può scoprire che le paure di crescere sono le stesse che provano tutte le altre donne, di generazione in generazione e che ogni mutamento del proprio corpo può avere un aspetto razionale, ma anche uno divino e archetipico.

La stessa bambina, il giorno del menarca, o primo sanguinamento, scoprirà la potenza dell’essere celebrata, dell’essere vista e amata, insignita della forza del femminile che incarna e che scorre dentro e fuori di lei, riconoscendolo come un dono e non come un pesante fardello da scontare ogni mese.

Questo per tutti gli altri riti di passaggio che quella bambina, adolescente, donna, madre dovrà attraversare nella propria vita. Immaginiamo una madre, che partorendo diventa un nodo saldo nella rete di supporto e aiuto femminile nella comunità: riceverà sostegno da altre madri, da sorelle che la aiuteranno ad incarnare il nuovo ruolo materno, che giorno dopo giorno le si cuce addosso, saranno presenti per un consiglio, una carezza o semplicemente per preparare un pasto in un momento di stanchezza.

Costei avrà l’opportunità di rimanere prima di tutto donna, coltivando passioni, desideri e la possibilità di essere una madre che non deve “arrivare dappertutto”, ma può farlo, grazie al cerchio di altre anime femminili che la accompagnano. Immaginiamo una donna saggia, che ha compreso nel suo corpo la geometria della bellezza del femminile, ciclo dopo ciclo, e che si prepara a lasciare la fertilità fisica per una fecondità piena e sociale: quella di guidare in modo esperto e fluido le donne più giovani e assetate di conoscenza. Sarà un punto di riferimento ogni qualvolta ci sarà da prendere una decisione nel villaggio. Sarà il ritratto della sensualità e della responsabilità, con sguardo acuto e presente. Immaginiamo un’anziana, immagine della saggezza e faro spirituale del villaggio.

Colei che con maestria incontra e utilizza le erbe, che sa interpretare i segni dei tempi e delle stagioni, osservando il volo degli uccelli, il colore dei tramonti e il profumo della terra. Colei che sa comunicare con il silenzio, interpretare oracoli, pregare e custodire le chiavi della guarigione cosciente. Colei che con mani sagge accompagna il passaggio da aldilà ad “aldiqua”, le anime che si incarnano e nascono; e che con stessa presenza e rispetto accompagna il passaggio tra vita e morte.

RECUPERARE LA SORELLANZA

Tutto questo si viveva in un’epoca in cui era socialmente riconosciuto come il processo di evoluzione femminile fosse collettivo, ovvero che le donne dovessero stare insieme per comprendere sé stesse, benedire la propria biologia, esprimere i propri talenti e onorare la propria sacralità. È fondamentale far riemergere questo processo e riportarlo nella nostra quotidianità.

Ma oggi, immaginiamo anche un uomo, o meglio tanti uomini, custodi della terra che li ospita e del villaggio che hanno creato, ma coscienti anche di quel femminile che li accompagna e li arricchisce, così differente e reciproco, che permette loro di sviluppare uno sguardo saggio, in cammino verso una virilità autentica e non “instagrammabile”.

Ed ecco la nuova consapevolezza che auspichiamo: non più un matriarcato nascosto in fluenti tende rosse e non più un patriarcato che perde la propria virilità nel momento in cui non riconosce un femminile essenziale nella sua natura ciclica, ma uno scambio di sguardi, una reciprocità di intenti e una presa per mano nel rispetto dei tempi, della fisiologia e della natura di entrambe le manifestazioni.


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