Un libro che vi lascerà piacevolmente sorpresi. Tratta sì lo yoga in modo teorico e pratico ma, sopratutto, come vivere realmente lo yoga durante la nostra vita, durante una passione, una malattia, come si medita vivendo.
C’è stato un momento in cui Emmanuel Carrère ha creduto di aver sconfitto i suoi demoni, di aver raggiunto uno stato di «quiete meravigliosa».
Allora si è messo a scrivere un «libretto» – che, nelle sue intenzioni, doveva essere «simpatico e sottile» – su alcune discipline che pratica da anni: lo yoga, la meditazione, il tai chi.
Solo che i demoni erano ancora in agguato, e quando meno se l’aspettava gli sono piombati addosso: e non sono bastati i farmaci, ci sono volute molte sedute di elettroshock per farlo uscire da quella che è stata diagnosticata come «sindrome bipolare di tipo II».
Nel libro Carrère parla di questo: dello yoga e della sua discesa agli inferi (i mesi terribili trascorsi a Sainte-Anne, l’ospedale psichiatrico di Parigi) – ma anche di molte altre cose. Di come, al terzo giorno di un seminario di meditazione Vipassana (che non era consentito abbandonare), apprende della morte del suo amico Bernard Maris nell’attentato a «Charlie Hebdo» (e decide di abbandonarlo all’istante). Di una relazione erotica clandestina, di una polacca di Chopin e del sorriso di Martha Argerich. Della scelta di andare a Leros per aiutare un gruppo di profughi afgani e poi della morte del suo editore francese, di Shining, di un’isola bretone, di un’americana la cui sorella schizofrenica è scomparsa nel nulla – per finire, del suo lento ritorno alla vita, alla scrittura, all’amore.
E ci cattura, ancora una volta, con la «favolosa fluidità» della sua prosa («Le Monde»), e con quel modo amichevole, quasi fraterno, che è soltanto suo, di raccontarsi a ciascuno di noi.
Le parole dell'autore
«Osservare la propria respirazione, seduti immobili su un cuscino, è quel che si chiama meditare, pratica sempre più diffusa e che avrebbe dovuto essere l’unico argomento di questa storia se solo la vita non l’avesse trascinata, come vedrete, in mari più burrascosi». – Emmanuel Carrère