Un luogo amato è un luogo capace di amare (e di farci stare bene)
Pubblicato
5 anni fa
Un approccio evoluto alla trasformazione dei luoghi può portare grandi benefici in termini di benessere
Un manichino… cominciamo da qui il nostro gioco...
Quando passo di fronte ad una vetrina di un negozio di abbigliamento, mi capita di soffermarmi, quando vedo qualcuno che veste un manichino.
Osservo come lo fa, la gentilezza dei gesti, lo sguardo. Il modo in cui si allontana per vedere l’effetto finale.
Il manichino è lì, immobile, con quel finto sorriso, senza capelli, in balia di colui che si prende cura di esso.
Mentre alcuni lo fanno con amore, con calma e attenzione, altri lo fanno di corsa, senza pensarci troppo, con gesti frettolosi e meccanici.
Facciamo un gioco. Immaginate di essere il manichino, in entrambe queste situazioni.
C’è qualcuno incaricato di vestirvi. Sa che cosa vi farà indossare. Prepara tutto l’occorrente e comincia la vestizione.
Nessuno vi sente
Voi siete lì, immobili. Cercate di comunicare che ciò che vi stanno mettendo addosso non vi piace, ma nessuno vi capisce, o meglio nessuno vi sente. Parlate, infatti, una lingua che non arriva alle loro orecchie.
Non riuscite a comunicare che non vi piace stare con il braccio destro in avanti e quello sinistro in su. La gamba destra dietro alla sinistra, in una posizione totalmente innaturale.
Quindi siete in balia di ciò che succede, non potete governare gli eventi, e il vostro aspetto fisico dipende esclusivamente da altri.
Solo l’aspetto fisico?
Forse no, perché se la persona che si sta occupando di voi lo fa perché è obbligata, o non ha voglia, o non le piace farlo, allora senza dubbio l’atto della vestizione diventerà ancora più pesante. Cambia tutto invece se la persona che si sta occupando di voi lo fa con amore, passione e cura.
Siete un manichino evoluto, riuscite a percepire anche lo stato d’animo delle persone.
Tutto assurdo? Può essere. Ma seguitemi ancora un momento su questo ragionamento.
Continuiamo il gioco
Provate ad immaginare ora di essere una casa. Una casa abbandonata.
Avete accolto più generazioni, avete ascoltato le conversazioni di tutti, avete annusato i pasti, gioito nelle feste, sofferto nei momenti di lutto. Vi affacciate su una strada dove tutti coloro che passano notano che avete i muri rovinati, gli infissi rotti, i mattoni messi a nudo.
Siete immobili, inermi, in attesa che qualcuno decida di voi.
Arriva, finalmente, qualcuno che decide di investite rimettendovi a nuovo.
Pieni di speranza, cercate con tutte le forze di comunicare che avete voglia di collaborare per tornare ad essere un’abitazione amata e desiderata.
Vi immaginate come potreste tornare ad essere, con il vostro magnifico corpo rimesso a nuovo, perfettamente funzionante, con un bel giardino nella corte interna che allieta le persone che torneranno ad abitarvi.
Cercate di comunicare tutto questo, ma non ricevete risposta. Nessuno vi sente.
Siete immobili, sapete che qualcuno agirà su di voi per cambiarvi, ma non potete dire nulla su come vi sentite, su ciò che vorreste essere, su come volete aiutare le persone che vi abiteranno a stare bene.
Siete un po’ sofferenti, e consapevoli che se siete sofferenti voi, lo saranno anche coloro che vi abiteranno.
Cominciano i rilievi, poi le riunioni, la progettazione. Osservate come “altri” stiano decidendo per voi. Qualcosa, delle trasformazioni previste vi piace, qualcosa no.
“Perché mi togliete tutto questo?”
Avete un bellissimo pavimento in cementine antiche che si potrebbe recuperare, ma viene portato in altrove, forse gettato, forse venduto. Avete una scala in granito perfetta, ma non è nella posizione giusta per servire i nuovi appartamenti, quindi viene smantellata. La corte interna, dove speravate di vedere un bel giardino rigoglioso, viene sacrificata con innumerevoli bocche di lupo che fungono da aerazione per la nuova autorimessa, costruita sotto i vostri piedi, dove fino a poco prima il terreno vi faceva sentire al sicuro, stabili.
Osservate mentre decine di persone, tra architetti, geometri, ingegneri, manovali, idraulici, elettricisti, muratori, si occupano di voi. Sembrano formichine che si muovono senza un “perché” sentito, profondo. Sanno che devono compiere azioni, rispettare tempi e norme, rendervi belli. Lo fanno bene, ma senza emozione. Non sanno che siete lì insieme a loro, a osservare tutto ciò che succede.
Continuate a cercare di comunicare, ma nessuno vi sente.
Alla fine, la ristrutturazione è completata.
Come vi sentite? Provate ad immaginare.
Sarebbe stato differente se chi vi ha accompagnato in questo processo di rinascita materiale e formale avesse anche saputo ascoltarvi, comprendervi?
Un approccio evoluto alla trasformazione dei luoghi
“Che assurdità è questa?!” potrebbero pensare in molti.
Potrebbe essere una storiella, o potrebbe essere l’idea per un approccio diverso, più consapevole, verso la trasformazione dei luoghi.
Che sia un edificio da abbattere, da trasformare, un terreno da bonificare, una casa da costruire, un appartamento da ristrutturare, è importante che chi se ne occupa lo faccia con un’attenzione e una cura speciali, come se si stesse occupando della propria casa, del proprio luogo dove vivere.
È importante che lo faccia con amore.
Questa sensibilità l’abbiamo tutti, ma l’abbiamo persa. Va ricostruita, usata, apprezzata.
Un luogo amato, è un luogo capace di amare.
Nella mia esperienza ho compreso che interagire in modo evoluto con la propria casa può regalare sorprese inaspettate non solo a chi cerca di sistemare qualcosa che non va bene, nella propria abitazione, ma anche a chi sta già bene, ma è desideroso di sperimentare un livello di benessere interiore ancora più profondo.
Coinvolgere nella progettazione e costruzione della propria casa persone che amano il loro lavoro, amano l’immobile, riescono a comprendere profondamente di cosa avete bisogno voi ed anche di cosa ha bisogno la casa per stare bene, è fondamentale se vogliamo vivere in un ambiente che possa regalarci buona energia, buone emozioni, e renderci felici.
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