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Selene Calloni Williams ci insegna l'arte del morire (e quella del vivere)

Pubblicato 2 anni fa

Ecco come le tradizioni giapponesi sulla bellezza della caducità e il Libro Tibetano dei Morti ci aiutano a superare la paura

Il concetto di morte, e i rituali ad essa collegati, variano a seconda della prospettiva da cui li osserviamo. Partendo da una visione razionalistica, dominata dal senso dell’io, la morte viene interpretata come la fine della vita. Il morente si separa da tutto ciò che lo ha accompagnato sino all’esalazione del suo ultimo respiro. Questa concezione mette al centro l’attaccamento alla propria identità e al mondo terreno, dimenticando che tutto ciò che svanisce è in relazione con il Tutto. La morte non presuppone una fine, ma una trasformazione. È un costante divenire e ciò che svanisce in qualcos’altro diventa immortale. La morte nello stato naturale non esiste, proprio perché tutto si trasforma. 

Indice dei contenuti:

L’evanescenza, il sacro, il darsi

Il concetto di morte si collega al principio d’impermanenza. Tutto in natura è impermanente, poiché tutto è sacro, o meglio, tutto è il sacrum facere, il darsi, l’offrirsi, l’amore. E l’impermanenza è anche un inno alla vita, alla bellezza. Basti pensare alle tradizioni shintoiste e ai rituali giapponesi in cui la bellezza si trova proprio nella caducità. Penso per esempio al lato effimero dei ciliegi in fiore, un evento festeggiato ogni primavera con l’Hanami. Lo sbocciare dei sakura (termine giapponese che significa ciliegio) richiama migliaia e migliaia di giapponesi là dove è possibile ammirare la fioritura. È una tradizione antichissima, attraverso cui si contempla la bellezza degli alberi in fiore. È una bellezza che ha una natura fugace, poiché dopo pochi giorni che sono sbocciati i fiori di ciliegio incominciano a cadere. È per questo che rappresentano il principio dell’impermanenza, ma anche della bellezza della vita, del sacro. Come ricordo in alcuni miei libri – tra cui Wabi Sabi e Shinrin Yoku –
c’è un’espressione nell’idioma giapponese che indica proprio la bellezza dell’impermanenza. Si tratta di “mono no aware”, ovvero uno degli ideali tradizionali dell’estetica giapponese. “Mono no aware” indica il pathos delle cose che svaniscono. Tutte le cose sono impermanenti perché sono anima. E l’anima è invisibilità. Se le cose in natura non svanissero non avrebbero il pathos che hanno: è proprio la capacità di svanire che dà loro pathos, emozione. Morire, in tal senso, significa andare incontro all’invisibile.

Le tradizioni giapponesi

In Giappone, al Kōya-san, c’è la Grande Soglia, il confine tra la vita e la morte, tra il visibile e l’invisibile: è Oku-no-in, il cimitero più grande del Giappone, uno dei luoghi più mistici e sacri del Paese. Ospita lapidi coperte da una fitta vegetazione, avvolte in un bosco di altissimi cedri rossi secolari. È il luogo della morte e dell’eternità. Al Kōya-san, i monaci insegnano che tutto è impermanente, quindi transitorio, vuoto, sogno, pura apparizione. 

L’impermanenza si collega al concetto di Wabi sabi, anch’esso incluso negli ideali tradizionali dell’estetica giapponese. Wabi Sabi indica la semplicità, l’umiltà e l’imperfezione come componenti fondamentali della bellezza. La fragilità, che si vede per esempio nei rami secchi o nei fiori appassiti, è la bellezza dell’impermanenza. Wabi sabi esprime la capacità di non trattenere, di avere fede nel viaggio, nel transito tra la vita e la morte, tra il visibile e l’invisibile, di lasciare, di partire quando è il momento. Uno sciamano sa quando è il momento di morire. Non solo la vita deve avere vigore, anche la morte deve averlo affinché l’anima non resti prigioniera tra i mondi e il transito non diventi agonia e dolore. Tutto deve avvenire nel giusto momento, affinché sia Wabi Sabi, affinché sia bellezza, affinché sia amore.

Superare la paura

La morte genera paura. Ma la paura nasce dalla non-conoscenza e dall’inconsapevolezza. Chi è succube del proprio io, chi si attacca al senso dell’io ha paura, anche della morte. Nella religione sociale domina il concetto di tempo lineare, c’è un prima e un dopo. Separando la vita dalla morte si crea la paura e attraverso la paura si controllano gli individui. Chi ha paura è governabile, prevedibile e misurabile. Chi non ha paura non serra le porte dei propri sensi, non si rintana nel proprio io, non si chiude alla visione sottile, non contrae i canali percettivi, allora vede il visibile e l’invisibile e conosce la vera natura di tutte le cose.

Quando l’individuo muore con attaccamento e paura, cade nella fossa dell’inconsapevolezza, nella quale il ricordo di sé, il ricordo dell’amore universale si perde, la coscienza si oscura e la conoscenza si smarrisce. Quando, invece, l’individuo muore senza attaccamenti né paure, può, nella morte, incontrare il sacro, il sacrum facere, il darsi per amore e ciò lo conduce al Nirvana, la liberazione finale in cui tutta l’apparenza fenomenica, il ciclo illusorio delle vite, delle morti e delle rinascite, la cosiddetta ruota del samsara si dissolve.

Gli insegnamenti del Bardo Tösgrol e dello Yoga del Colophon

Il Bardo Tösgrol, il Libro Tibetano dei Morti, è il libro della Grande Liberazione attraverso l’udire. Lo Yoga del Colophon è una parte importante dello Yoga Sciamanico. La parola Colophon indica la nota tipografica impressa nell’ultima parte di un volume, nello Yoga Sciamanico sta a indicare il transito da una dimensione all’altra: dalla vita alla morte o dalla morte alla successiva rinascita. Le pratiche e i rituali dello Yoga del Colophon ti comunicano che la morte è destinata a presentarti la vita così com’è al di fuori della prigione dell’Io. Oltrepassando l’io, la mente e la personalità – che alimentano il senso di separazione – percepiamo la nostra vera natura. La morte porta infatti la disgregazione delle strutture fittizie dell’io. La morte ti presenta la vita così come l’ha vissuta la parte più profonda di te, la tua anima. È per questo che il luogo in cui si muore è relativo. Ciò che devi fare per raggiungere la salvezza nella morte è riconoscere la tua anima, non intimorirti dinanzi all’abbagliante luce della conoscenza, ma affermare dinanzi a quella, così come dinanzi alle visioni benefiche o terrifiche che nascono dal dispiegarsi della tua coscienza: “ecco ciò che io sono”, riassumendoti la piena responsabilità per tutti gli eventi che hai vissuto in vita, riconoscendoli come tue proiezioni. Questo processo è possibile ovunque, indipendentemente dal luogo della morte. Gli spazi fisici sono costruzioni della mente. 

Quando non si è in fuga dal sacro si vive nell’età dell’oro, in uno stato della coscienza in cui al termine della vita non si muore ma si diventa Daimon, spirito guida dei viventi. La morte è trasformazione, passaggio ma non è fine. La morte è la morte dell’io, che genera una vita sacra.

Pratica quotidiana

Ricorda ogni giorno che sei mortale, che il tuo corpo è mortale, percepisci questa mortalità.

Ama il tuo corpo incondizionatamente, in virtù della sua evanescenza, della sua fragilità.

Così potenzi l’anima e l’unione di anima e corpo e dissolvi la mente, finché l’unione diviene totale.

Morire a casa o in ospedale fa differenza?

La casa è un tempio abitato dagli spiriti degli antenati e morire in casa è sempre preferibile. Il post mortem è un grande mistero che alcuni hanno cercato di indagare. Lo psichiatra Rick Strassman, per esempio, ha ipotizzato che la ghiandola pineale produca grandi quantità di DMT durante la nascita e diverse ore dopo la morte.

La DMT (dimetiltriptamina) è la stessa sostanza che si ritrova nella cosiddetta “pianta-medicina”, utilizzata dagli sciamani del Sudamerica, chiamata ayahuasca.

L’esperienza in chi assume questa sostanza è quella dell’apertura di portali che conducono a incontrare spiriti, con cui si possono avere scambi di informazioni.

Anche secondo la tradizione dello Yoga del Colophon il post mortem è popolato da numerosi spiriti, specialmente spiriti di antenati, che possono aiutarci nel transito. Grazie alle pratiche dello Yoga del Colophon è possibile effettuare le medesime esperienze indotte dalla ayahuasca senza assumere la sostanza. Direi che sono pratiche portentose, di grande insegnamento per la vita.

Per via del fatto che il morente può essere chiamato a confrontarsi con una complessa realtà spirituale, trovarsi in un luogo silenzioso e protetto, come la propria casa, è sicuramente preferibile.

Meditazione guidata su transito

Se vuoi ascoltare una meditazione guidata sul transito che ti aiuta a sciogliere la paura della morte (la quale, in modo del tutto inconscio, può inficiare ogni aspetto della tua vita), puoi fare riferimento a questa traccia audio: https://youtu.be/y2RBK_nh6M8, che è tratta dal mio libro James Hillman. Il cammino del "fare anima" e dell’ecologia profonda.

Mentre nel mio libro Yoga Sciamanico, puoi trovare i “rituali della non-esistenza”, pratiche che ti aiutano a procedere lungo il cammino spirituale grazie a insegnamenti sull’arte del morire – che è altresì l’arte del vivere – tratti dallo Yoga del Colophon. Grazie a questi insegnamenti puoi aiutare anche altri ad attraversare la soglia nel momento del transito.


Ultimi commenti su Selene Calloni Williams ci insegna l'arte del morire (e quella del vivere)

Recensioni dei clienti

Baristo T.

Recensione del 27/05/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 27/05/2025

Immagino che dipenda da persona a persona, è un argomento estremamente individuale perché ognuno crede in quello che crede e di conseguenza ha più o meno paura della morte. Grazie per tutte le spiegazioni.

Gilia M.

Recensione del 15/05/2025

Valutazione: 5 / 5

Data di acquisto: 15/05/2025

Articolo particolarmente interessante su questo tema non proprio bellissimo ma che bene o male ci coinvolge tutti. Sapevo della dimetiltriptamina che dovrebbero secernere in grande quantità anche gli animali, visto che sono predati e divorati da vivi.

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