Immortalità o eternità secondo Corrado Malanga
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2 anni fa
La morte come evento essenziale per comprendere l’eternità della coscienza
Gli italiani sono un popolo di malati immaginari. La maggior parte di loro corre in ospedale per un’unghia incarnita, aumentando così vertiginosamente le spese della sanità che sostanzialmente, in questo tipo di società, sono a carico del contribuente.
In televisione e sui giornali non si perde occasione per esaltare le scoperte della medicina, e tutto ciò ha il potere, sui comuni cittadini, di farli sentire più tranquilli verso la morte o la sofferenza di una malattia.
La morte come passaggio di stato
Più la medicina progredisce e più sarà sconfitta la morte. La cultura dell’italiano medio prevede dunque che la morte sia una malattia i cui effetti si mostrano con la vecchiaia. Nel Mondo Felice la morte non è una malattia ma “un passaggio di stato”, come direbbe un chimico, cioè un istante in cui la tua essenza prende un’altra forma. Nel Mondo Felice infatti la morte non esiste, ma non perché qualche Dio lo abbia detto. Nemmeno perché la scienza abbia ottenuto lo stato d’immortalità, ma semplicemente perché l’universo, così come lo concepiamo, non ammette l’esistenza della morte.
Non bisogna confondere la morte del corpo fisico con la terminazione dell’esistenza.
L’immortalità non va raggiunta perché non è necessaria, a fronte del fatto che già siamo eterni.
Una scatola di infinite dimensioni chiamata universo
Da un punto di vista strettamente fisico l’universo è una scatola che possiede dimensioni infinite e questo produce un fatto interessante. Il fatto che le dimensioni della scatola siano infinite prevede che chi abita l’interno di questo scatolone non abbia la necessità di uscire da esso, poiché se lo scatolone è infinito occupa tutto lo spazio, non lasciando nulla al di fuori. In altre parole, il fuori non esiste. Dunque se il fuori non esiste l’Universo è, di per sé, un sistema totalmente isolato il cui contenuto di energia non può variare. Tale contenuto di energia, nella sua totalità, vale esattamente zero.
Se qualcuno pensasse che la vita è energia, dunque dovrebbe ammettere che l’universo è morto o comunque era morto e alla fine dei tempi tornerà a essere morto.
Vivo o morto?
Ci potremmo chiedere che differenza esiste tra un gatto e un portacenere, e qualcuno potrebbe dire che il gatto è vivo mentre il portacenere è morto, ma se dovesse dimostrarlo non sarebbe così facile. Cosa vuol dire essere vivo? La definizione di vivo o morto attualmente fa acqua da tutte le parti. Per la biologia pare che un essere vivo sia un essere che nasce, cresce e muore, ma allora anche un cristallo lo sarebbe. Si potrebbe dire che l’essere vivo fa figli, ma questo non è sempre vero, e soprattutto anche i cristalli fanno figli.
La differenza sostanziale invece sta nel fatto che un essere vivente sa di esserlo mentre un portacenere non lo può sapere.
Dovendo dare una definizione di essere vivente dovremmo dire che l’essere vivente ha una consapevolezza più o meno ampia di sé stesso. Ma dove esiste la consapevolezza esiste anche la coscienza poiché, come abbiamo detto in altre parti di questo testo, la consapevolezza è la misura della comprensione della coscienza stessa, che non è direttamente misurabile poiché è immutabile, non locale a-spaziale e a-temporale. Dunque un essere vivente è coscienza. Ma la coscienza è eterna e dunque nessuno di noi muore mai.
Quello che la medicina vorrebbe ottenere, non avendo consapevolezza di sé, è un’altra cosa che viene identificata con il termine di “immortalità”.
Immortalità o eternità
La differenza tra immortalità ed eternità è chiara, e per metterla in evidenza faremo questo esempio: se un essere immortale, che sulla carta vive in eterno, attraversando la strada viene investito da un’automobile e riporta gravi ferite, muore. Se un essere eterno va sotto una macchina, non muore mai. Anche se l’esempio ha poco senso, perché un essere eterno non avrebbe la possibilità di incontrarsi con un evento nefasto di quel tipo, rende però l’idea.
La medicina e la scienza in generale dunque hanno un target: non far morire le persone. Questo è il momento invece di fare chiarezza su questa problematica.
Gli esseri umani sono venuti a occupare i nostri corpi per permettere alla coscienza di effettuare l’esperienza della separazione e per comprendere che essa non esiste. In questo contesto, tale esperienza si basa sul cominciare e terminare qualcosa come la vita. La coscienza, anche se eterna, non sa di esserlo fino a che non ha compreso il contrario: deve vivere, cioè nascere e morire, iniziare e terminare per comprendere, attraverso la morte fisica, che la morte in questo universo non esiste. Ma per fare ciò è necessario morire, poiché attraverso l’esperienza della morte si concretizza l’azione del fare. E siccome il fare diviene l’essere, se non si fa non si diviene.
Morire per essere eterni
Semplicemente dobbiamo sostenere il fatto che morire è necessario a compiere l’atto finale di comprensione, dopo il quale saremo coscienti di essere eterni e anche del cosa tutto questo significa.
Quello che in questo mondo andrebbe evitato non è il morire, ma semmai il morire non avendo capito niente della vita.
Dunque, affrontare la morte con consapevolezza di sé vuol dire anche comprendere che non è necessario morire soffrendo; e in questo la scienza, e soprattutto la coscienza, possono aiutare gli esseri umani, ma il concetto di rimanere vivi per sempre è un’enorme fesseria.
*Estratto da Il Mondo Felice. Un viaggio verso i luoghi della Coscienza, di Corrado Malanga, Edizioni Spazio Interiore 2019, pp. 119-122.