Ecco come si vive davvero negli ecovillaggi italiani (reportage con foto inedite)
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2 anni fa
Gli scatti fotografici di Stefania Bosso ci raccontano il quotidiano, le aspirazioni e i valori di chi sta costruendo nuovi modelli di vita comunitaria
«Vorrei venire a visitare La Fattoria perché sto realizzando un reportage sugli ecovillaggi, sono una fotografa»: con queste parole iniziava la mail che ci ha scritto Stefania Bosso, venuta a conoscenza del nostro progetto proprio leggendo Vivi Consapevole. La sua visita alla Fattoria non si è ancora concretizzata, ma il suo lavoro fotografico ci ha molto colpito, così come la sua passione nel voler divulgare queste esperienze alternative di vita comunitaria. E così Stefania ha accettato di raccontarci un po’ di sé e del suo progetto e di pubblicare qui alcuni dei suoi scatti.
Ciao Stefania, com’è nato il tuo interesse per gli ecovillaggi?
Da quando sono piccola sogno di vivere in una casa immersa nella natura, possibilmente condividendo animali, orto e altre attività con altre persone.
Nel 2020 avevo finito di lavorare ai miei progetti fotografici e volevo incominciarne uno nuovo, quindi mi sono detta: “Perché non esplorare questo mondo di cui avevo sentito parlare e coniugare interesse fotografico con interesse personale?”, e così è stato.
Ci parli del tuo progetto di reportage su queste realtà?
Quando vado a documentare un ecovillaggio, cerco di trascorrere alcuni giorni con gli abitanti; più tempo ho a disposizione più riesco a entrare nelle dinamiche e immergermi nella loro realtà.
In queste realtà si utilizzano pratiche di coltivazione tradizionali e innovative come la permacultura o il metodo Cappello, pratiche sociali e comunitarie come la Via del Cerchio o la sociocrazia, pratiche artistiche legate alla danza e alla musica come strumento di guarigione. E poi la raccolta delle erbe medicinali e la loro trasformazione – pratiche dei nostri nonni che si stanno dimenticando – tecniche di costruzione con materiali naturali (come le case in argilla e paglia) e il riciclo. Si cerca di mantenere un contatto con la natura e di ritrovare le proprie radici, inquinando il meno possibile e riducendo i consumi superflui. Io osservo e imparo tutte queste cose, ritraggo i volti di queste persone che portano messaggi di speranza, documento le loro attività, le loro case, i loro spazi.
Ogni volta che visito un ecovillaggio metto un puntino luminoso su una mappa che mi sono creata, e pian piano vedo come, unendo questi puntini, si sta creando un’ampia rete che copre tutta l’Italia (e non solo). Questa rete collega anime, cuori e pratiche sane. E dà ispirazione, prospettiva e speranza a tante persone che si stanno domandando se la vita incasellata tra città e lavoro fisso è quella che davvero fa per loro. Ho visto tanta gente cambiare vita, ho visto i loro volti quando arrivavano a visitare un ecovillaggio per la prima volta (pieni di stupore e curiosità, ma legati a un lavoro in banca nel centro di Milano, stressati) e li ho rincontrati un anno dopo, quando si erano traferiti a vivere in quell’ecovillaggio. Erano volti rilassati, felici di sedersi in giardino a costruire un setaccio, piuttosto che premere tasti davanti a uno schermo.
Quanti eco villaggi hai visitato ad oggi in Italia e in quali regioni? Come hai trovato queste realtà?
Ho visitato una decina di ecovillaggi, nel nord Italia, principalmente in Emilia Romagna, Toscana, Piemonte. Una realtà più bella dell’altra, vorrei avere più tempo da trascorrere in ognuno di questi posti perché le giornate sono intense, per niente monotone, e ci sono sempre nuove persone che arrivano e che partono. Si lavora, si conosce nuova gente, si condivide. L’atmosfera è generalmente serena, la gente rilassata e più felice di quello che vedo in giro. Dalla città è arrivato un nuovo termine che sembra essere alla moda perché lo sento pronunciare da molti miei conoscenti: “burnout”. Ma negli ecovillaggi è difficile che questa parola entri nel lessico della gente.
Ce ne racconti un paio che ti hanno particolarmente colpita e perché?
Mi piace la valle degli Elfi perché è molto particolare, le persone vivono in dei piccoli villaggi nei boschi, a strettissimo contatto con la natura. Questo ecovillaggio diffuso esiste da più di quarant’anni e ci sono molte storie interessanti da ascoltare. Lì ho imparato ad alleggerirmi: molti bisogni che pensiamo di avere sono in realtà gabbie mentali e possiamo liberarcene consumando meno e rispettando di più la natura, scoprendoci molto più forti di quel che pensavamo di essere.
Anche Casa Yana mi piace molto, è meno sperduta, ma tutti i suoi abitanti lavorano assiduamente per creare un mondo migliore, fatto di buone relazioni e pratiche sane.
Se dovessi sceglierne uno in cui vivere, quale sarebbe e perché?
Se avessi già trovato quello che fa per me al cento per cento ci sarei già andata a vivere. Per adesso farei un mix.
Tra tutte le persone che hai incontrato, quali ti hanno maggiormente ispirata?
Le persone che sanno raccontare storie, e le persone che si impegnano umilmente ogni giorno per rendere il gruppo funzionante, mettendo da parte il proprio ego e la voglia di protagonismo.
Cosa accomuna tutte queste realtà?
Una predisposizione mentale all’apertura, alla tolleranza, all’ ospitalità come punto di forza del villaggio.
Hai trovato invece differenze sostanziali, quali?
Ci sono ecovillaggi che concentrano le proprie energie nel lato pratico, rivolto all’autosostentamento, ed altri nell’organizzazione di eventi e pratiche spirituali. Quando non si riesce a trovare un equilibrio tra queste due polarità, si rischia di farsi travolgere, perdendo di vista il motivo per cui si vive insieme.
Quali problemi incontrano, sia internamente che nei loro rapporti con l’esterno, queste comunità?
Vivere tutto il giorno, tutti i giorni con tante persone, condividendo cucina e spazi comuni non è facile per nessuno. È necessario fare molto lavoro personale e molti cerchi di condivisione. Questo lavoro porta stimolo per l’evoluzione personale, che è positivo. Le comunità a volte sono geograficamente un po’ isolate dal mondo esterno, ma non mancano di organizzare eventi, workshop e lavori collettivi per creare una rete di amici e ospiti. Molti villaggi aderiscono alla rete di volontariato WWOOF, che porta viaggiatori e volontari a trascorrere tempo presso di loro.
So che sei stata all’estero da poco: ci racconti dove e quali eco villaggi hai visitato? Che differenze hai trovato rispetto alle realtà italiane?
Sono stata in Danimarca, all’incontro del Gen Europe (il gathering degli ecovillaggi europei, gen-europe.org). Ho visitato alcune realtà tra cui Halingelille, uno splendido ecovillaggio con case di ogni forma, animali liberi e un laghetto per fare il bagno con vicino una sauna. Come si sa, al Nord sono generalmente più organizzati e più attenti agli aspetti sociali.
Il tuo reportage è ancora in corso: che progetti hai per il futuro, come lo vorresti “far crescere”?
Vorrei continuare a viaggiare, andare a documentare altre realtà, ma ci vuole molto tempo e denaro per visitare le regioni più lontane. Mi piacerebbe pubblicare una rubrica e trovare qualcuno interessato a finanziare il mio progetto, e infine fare una mostra e un libro.