Il nuovo libro di Sibaldi parla al nostro Io più profondo
Un’altra Annunciazione: un Arcangelo, molto diverso da quello a cui la tradizione ci ha abituati, fa visita a quella dimensione interiore, semplicissima, di ognuno, che gli antichi teologi indicavano come Maria, «la madre di Dio».
L’Arcangelo spiega, dimostra, propone, attende risposta.
Il suo discorso è ben chiaro.
«Ovunque guardi, manca qualcosa che ti faccia
sembrare il mondo un bel posto dove vivere a lungo.
Vedi soltanto cose che sai già, o che non ti importano.
E la maggior parte delle cose che sai già
contengono minacce alla tua identità,
o determinano situazioni di oppressione...»
Tutto può cambiare, se solo si impara a non rassegnarsi.
KHÀIRE
«Ave, Maria».
Cara ragazza, gioisci. È bene che impari a gioire, perché ti servirà. E devi imparare da te, perché non è una cosa che gli altri sanno insegnare.
La gente ha talmente paura della gioia! Immagino che te ne sarai già accorta. Quando vedono la gioia di qualcuno, i più si innervosiscono. Si sentono in qualche modo defraudati. E quando poi provano loro stessi un po’ di gioia, allora fanno di tutto per sbarazzarsene: la sfogano in fretta, come fosse uno starnuto, e intanto, più o meno segretamente, si rattristano, perché tanti gli hanno inculcato che non si meritano cose tanto belle.
Tu invece impara, preparati.
Χαιρε!
«Khaire!» ti avevo detto quella prima volta, ricordi?
A Nazareth.
Parlavamo greco. E khaire! voleva appunto dire «prova gioia!». Quei bigotti dei Romani snobbarono il mio bel saluto, e lo tradussero: Ave. Che è l’imperativo di «avere». Gente avara, in gran parte: cosa credevano? Che fossi venuto a recapitarti un premio, o una nomina? Ah, non farci caso. Hanno prevalso loro, ma lasciamoli pure nel loro brodo.
A me importa che i tuoi occhi si illuminino di meraviglia, come allora; e non di gratitudine, o di soddisfazione, o di umiltà e orgoglio, come piacerebbe a loro.
Una cosa non potevi sapere a quel tempo (e forse non la sai nemmeno oggi): avvenne a un certo punto, nel Medioevo, in una cittadina per metà catalana e per metà ebraica, Gerona, che si cominciò a chiamare una tua immagine «la Madonna dai begli occhi» e a pensare che quell’immagine faccia il miracolo, a coloro che lo chiedono, di aprire i loro occhi a quel che c’è di bello tutt’intorno. A me – e, credimi, posso parlare a nome di tutti gli Arcangeli – non sono mai piaciute né le immagini né tantomeno le immagini miracolose, ma devo ammettere che quella volta gli abitanti di Gerona capirono qualcosa, di te e anche di me, più che in qualsiasi altro luogo.