Introduzione
In Tibet shiné [zhi gnas] è la pratica del Calmo dimorare (samatha), nonché il nome di un famoso dipinto che raffigura un monaco nell'atto di inseguire un elefante nero, ovvero la sua mente. L'inseguimento consiste in nove stadi, che lo condurranno infine alla meditazione lhakthong [lhag mthong], la pratica della visione profonda o analitica, che ha inizio con il decimo e undicesimo stadio e che gli consentirà di raggiungere l'illuminazione. Ci muoviamo nel testo seguendo tale sentiero. A piccoli passi sul tetto del mondo.
Primo stadio: lascia la tua casa e insegui l'elefante
Il monaco lascia la sua casa e inizia il viaggio spirituale con l'obiettivo di placare la mente. Anche noi occidentali siamo chiamati a farlo, per imparare a vivere senza farci coinvolgere troppo da pensieri, emozioni e sensazioni.
Secondo stadio: raggiungi l'elefante
Il buddhismo è legato all'India. Infatti il Buddha non solo vi è nato, ma ha anche praticato per molti anni Io yoga, che lì si è sviluppato molto prima del buddhismo, e ha tenuto il suo primo insegnamento a Samath, nell'Uttar Pradesh. Per raggiungere l'elefante, quindi, dobbiamo passare da lì.
Terzo stadio: lancia la corda al collo dell'elefante
Il monaco getta la corda, simbolo di consapevolezza, al collo dell'elefante. È la base di questo cammino che ci insegnerà a controllare la mente allenando la concentrazione.
Quarto stadio: addomestica l'elefante
Un viaggio nella mente non deve perdere mai di concretezza, per questo ho voluto e dovuto vedere con i miei occhi i luoghi in cui il pensiero tibetano è nato: l'India e naturalmente il Tibet, passando anche per il Nepal, Paese in cui oggi risiedono moltissimi tibetani. Dalla tradizione a oggi, dai monasteri all'occupazione militare della Cina, che sta cancellando il Tibet di un tempo.
Quinto stadio: placa la scimmia
La meditazione incontra degli ostacoli: l'agitazione, o una scimmia, e il torpore, o un coniglio. Ma anche l'avversione, il dubbio, il desiderio. Bisogna conoscerli per accettarli e lasciarli andare.
Sesto stadio: la scomparsa del coniglio
La mente inizia a essere più calma. Proseguiamo con il cammino scoprendo porzioni di Tibet in territorio italiano: lezioni di meditazione, negozi di campane «tibetane», monaci e monache che anni fa hanno trovato rifugio tra le splendide colline della Toscana fondando, a Pomaia, l'istituto Lama Tzong Khapa.
Settimo stadio: niente più pungolo, niente più corda
L'elefante non ha più bisogno della corda e del pungolo perché la mente ha raggiunto un certo livello di consapevolezza. Qualcosa nel nostro modo di vedere il mondo sta cambiando: siamo sempre più consci e presenti, sempre più allenati. Possiamo portare la calma e la consapevolezza nelle nostre vite senza per forza diventare monaci. Anche il famoso maestro tibetano Milarepa era un laico.
Ottavo stadio: l'elefante è domato
La mente-elefante è domata. Cosa e come è successo? Il Dalai Lama collabora da anni con i più grandi neuroscienziati per capire cosa succede alla mente quando si medita. Dal Tibet a noi, passando per i risultati scientifici e le ricerche, troviamo il vero scambio che unisce oggi Oriente e Occidente. Un passaggio importante per chiarire anche tutti i dubbi, i benefici, i pericoli, le inesattezze e le credenze sbagliate riguardo alla meditazione.
Nono stadio: l'elefante è accucciato
Per i buddhisti la vita consiste nel prepararsi alla morte. Ora che la mente è placata e non serve sforzo per mantenere la concentrazione, si può andare oltre, proseguire nel cammino. Cosa può insegnarci il Tibet di fondamentale sul rapporto con la morte? Giungiamo alla scoperta del Bardo Tòdròl Chenmo [Bar do thos grol], ovvero Il libro tibetano dei morti.
Decimo e undicesimo stadio: cavalcare l'elefante con una spada infuocata. L'illuminazione
Comincia la meditazione lhakthong (vipasyana). In cima al cammino c'è l'illuminazione, la comprensione che tutto è vacuità: tutto è impermanente, tutto è interconnesso. Concetti apparentemente complicati ma che, una volta avvicinati, possono condurre anche l'uomo occidentale a vivere la propria quotidianità in modo diverso, più profondo e liberatorio. Questo viaggio si conclude con una pratica che unisce mindfulness, samatha e vipasyana in un'unica grande famiglia.
Conclusione
Che cosa ci rimane del Tibet dopo il cammino? Di cosa possiamo fare tesoro? Oggi la meditazione sta entrando sempre di più nella vita di noi stressati occidentali. Ricordiamo però di portare sempre il dovuto rispetto: cerchiamo d'informarci e di non praticare solo per raggiungere obiettivi egoistici. Integrando la meditazione nella nostra quotidianità possiamo ottenere benefici non solo per noi stessi, ma anche per gli altri e per il nostro mondo, creando un ponte sempre più stabile tra Oriente e Occidente.
Appendice
Glossario
Ringraziamenti
Bibliografia