La mia relazione con il cane
I cani che descrivo in queste pagine potrebbero essere compagni d'avventura, una carrellata di amici che mi hanno fatto vivere certe esperienze e hanno contribuito a fare di me quello che sono, non meramente nel senso professionale che, in fondo, è un dettaglio e forse poco m'interessa.
Certo, i cani mi hanno parlato del loro mondo, nella misura in cui ho dato loro la parola e questo è forse l'aspetto più critico, l'argomento discutibile di tutto il ragionamento.
Già, perché i cani ci sono accanto, ma spesso non li vediamo: troppe volte ci mettiamo alla ricerca del cane nascondendone le tracce, come se queste rivelassero un nostro coinvolgimento in un affare sporco. La conoscenza illumina certi dettagli, ma è quasi sempre un'operazione a posteriori.
Pertanto parlerò di avventure, di brevi spezzoni che richiedono flashback e torsioni temporali per essere compresi. Non necessariamente un cane ti parla durante la sua vita.
Molti dei cani che qui descrivo sono comparsi come fantasmi nelle mie notti insonni, per dirmi cose che non avevo capito durante i giorni vissuti con loro. Perché gli amici continuano a vivere nella nostra mente e paradossalmente con un'identità autonoma rispetto alla nostra, che consente loro di venirci a trovare nei sogni e di rivelare dettagli e spiegazioni che non sapevamo. E certe cose le capisci con il tempo.
Ho scritto tanti libri sul cane e forse nessuno veramente, perché non credo che si possa parlare del cane come di qualcosa da disgiungere, ritagliare con precisione e poi incollare su un fondale nero. Si raccontano sempre gli ossi di seppia che restano sulla spiaggia dopo una bassa marea, testimonianze spoglie di qualcosa che un tempo viveva.
Ci sono aspetti però che credo importanti e che ho cercato di trasmettere in questo scritto, al solito ibrido tra mondi differenti. Sono semplici pensieri, racconti e divagazioni, nostalgie e rammarichi, ricordi... che mettono insieme flessioni diverse della mia ricerca in ambito filosofico ed etologico.
Non si tratta di affermare cosa sia il cane e nemmeno di estrarre il parziale e il soggettivo attraverso un «secondo me», che potrebbe suonare autoreferenziale, se non addirittura egocentrico. Semplicemente occorre ammettere che, dietro le pieghe dell'interpretazione, si nasconde una prospettiva, quella che inevitabilmente ciascuno costruisce e che pervade ogni coordinata dell'orizzonte.
In fondo, la mia idea ricorrente è che ci si trovi sempre su una soglia relazionale, mai in un involucro impermeabile che consenta di affermare: «Questo sono io». Lì riposa il concetto ineluttabile di sguardo personale sul mondo, dove un titolo è sempre il frutto di una relazione, che porta a trasformare ogni descrizione e spiegazione in un dialogo.
Perciò quel «secondo me» vuole esprimere non tanto uno sguardo professionale, frutto di un'esperienza maturata negli anni e di un percorso che comunque mi viene riconosciuto, quanto soprattutto significa che, più che del cane in sé, parlerò della mia relazione con il cane, un tragitto evolutosi nel tempo lungo il dipanarsi della mia prospettiva.
D'altra parte, ciò che è personale e intimo non resta mai rinchiuso nella dimensione del soggettivo e dell'estemporaneo, ma tracima come un fiume.
Ammettere la natura relazionale di ogni espressione, il vivere su una soglia, genera di per sé una costellazione di significati che prendono il volo e non li puoi fermare.
Questo mi ha condotto negli anni a ripensare all'essere umano e a vederlo come un'entità ibrida, non autosufficiente e non autarchica, nella costruzione della propria condizione, vale a dire ad avere uno sguardo zooantropologico sulla relazione tra l'essere umano e le altre specie. Ciò significa, in buona sostanza, ritenere la relazione con le altre specie quale fonte attraverso cui l'essere umano ha realizzato connotati che andavano oltre le sue qualità implicite.
Ecco allora che il rapporto con il cane, proprio per il suo carattere archetipico, assume un significato antropologico fondativo, che negli anni ho cercato di mostrare e che mi sollecita a dame una valorizzazione, quando la cultura contemporanea sembra, al contrario, banalizzarlo.
Forse è questo il peccato capitale del nostro tempo: non comprendere il valore del nostro rapporto con le altre specie.