Il Mito del Senso nell'Opera Di C. G. Jung — Libro
Aniela Jaffè
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La domanda «perché si vive?» è antica quanto l'umanità, il tentativo - sempre rilanciato - di affrontare un mondo avvolto da enigmi.
Carl Gustav Jung maturò la convinzione che la domanda sul senso abbia una funzione cruciale: li ciascuno gioca il valore, o disvalore, della propria vita.
Sapeva benissimo di avere a che fare con una questione che non può avere una risposta, e che anzi ogni formulazione è un mito che l'uomo elabora per gestire un dilemma insolubile.
Eppure la domanda sul senso lo toccava al livello più profondo. Prendendo le mosse dall'esperienza terapeutica, Jung si convinse che - in molti casi - i suoi pazienti erano nevrotici solo perché soffrivano di quella che definiva «la nevrosi generale del nostro tempo»: un sentimento sempre più dilagante di insensatezza della vita.
Nella maggior parte dei casi esso si accompagnava al sentimento di un vuoto religioso. A suo avviso, infatti, nessuno guarisce davvero (e nessuno trova un senso) «se non riesce a raggiungere un atteggiamento religioso, il quale «naturalmente non ha nulla a che vedere con la professione di una fede o con l'appartenenza a una Chiesa».
Aniela Jaffé ci svela che cosa Jung contrappose, in quanto «senso», al «non senso» della vita. Lo fa recuperando e dialogando con i temi centrali del pensiero junghiano: gli archetipi, l'inconscio, i sogni, le immagini interiori, imiti della religione, il sacro, l'alchimia, l'arte.
Nessuna scienza (biologia, fisica, leggi del cosmo) può offrire, secondo Jung, risposte adeguate in merito al senso della vita. Ma neppure può fornirle un'interpretazione dei contenuti psichici che si basi esclusivamente su vicende di vita personali.
Il senso è un'esperienza di totalità: presuppone sia la realtà, quella che ciascuno vive nel tempo, sia una qualità eterna della vita; le esperienze personali ma anche la trascendenza.
Se manca la tensione tra queste due dimensioni, si genera un sentimento di accidentalità e d'insensatezza che ci impedisce di vivere la vita con quella ricchezza di significati che essa richiede per essere completamente vissuta».
Aniela Jafé è stata l’ultima collaboratrice di Jung.
Tedesca, emigrata in Svizzera con l’avvento del nazismo, divenne la principale collaboratrice del maestro negli ultimi anni della sua vita.
È lei che coordina lo scritto "Ricordi, sogni, riflessioni di Jung", ed è lei che raccoglie in volume i suoi dialoghi con lui, in un libro giustamente celebrato.
Ma Jafé è considerata anche a buon diritto una teorica originale e complessa. Il suo ruolo di autrice indipendente traspare chiaramente ne "Il mito del senso", pubblicato in numerose lingue e ora finalmente disponibile anche in italiano.
Si tratta, forse, del suo contributo più completo allo studio dell’analisi junghiana.
«In un numero infinito di occasioni la nostra vita avrebbe potuto prendere un corso completamente diverso. Chi crede di esser padrone del proprio destino di solito è schiavo della fatalità. Forse Hitler o Mussolini potevano crederlo. Respice finem! [Considera la fine!] Io so cosa vorrei, ma ho dei dubbi sul fatto che quel Qualcosa sia del mio stesso parere.»
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Marca | Bollati Boringhieri |
Data pubblicazione | Maggio 2025 |
Formato | Libro - Pag 176 - 14x22 cm |
ISBN | 8833944727 |
EAN | 9788833944722 |
Lo trovi in | Libreria: #Carl Gustav Jung #Percorsi di consapevolezza #Percorsi di consapevolezza |
MCR-NR | 669596 |
Aniela Jaffè è stata una delle più valide collaboratrici di Jung: fu sua discepola, quindi analista lei stessa, segretaria del Club Psicologico di Zurigo e segretaria personale di Jung negli ultimi sei anni della sua vita (1955-61). Fu lei che raccolse e curò i... Leggi di più...
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