Nel 1848, mentre un impertinente spettro si aggirava per l'Europa, il Vocabolario di parole e modi errati dell'Ugolini dichiarava: « Impertinente, per non appartenente, non può dubitarsi che non sia buona voce; ma siccome nell'uso più comune si adopera impertinente per arrogante e insolente, conviene essere molto cauti nell'usarla nel primo significato».
Impertinente, in senso letterale, è chi "non appartiene", ad esempio a una politica o a una religione, e non appartenendo, suscita i risentimenti e le stizze di coloro che, appartenendo, lo tacciano di arroganza o insolenza. Il matematico impertinente è una specie del genere, caratterizzata dal fatto di non appartenere non per partito preso ma per motivi mutuati dalla più pura razionalità esistente: quella matematica
Quanto a me, considero l'impertinenza come un buon modo, e a volte l'unico possibile, di affrontare i problemi in maniera pertinente. Soprattutto in campi come la politica e la religione, in un periodo storico che potremmo descrivere come l'era delle «tre B »: che non stanno a indicare, come nei tempi andati, il trio Bach, Beethoven e Brahms, bensì la triade Bush, Berlusconi e Benedetto XVI.
Io sento l'impertinenza nei confronti loro e dei loro seguaci come un imperativo morale e civile, in entrambi i sensi dell'Ugolini. Anzitutto, come non appartenenza a una visione del mondo ispirata dalla certezza che, per dirla nella lingua del nuovo papa, Goti mit uns, « Dio è con noi »: meno che mai quando questa certezza rigenera mostri che credevamo ormai definitivamente scomparsi, dalle guerre imperialiste alle crociate integraliste. E poi, per proclamare ad alta voce che certi presidenti e papi sono nudi: una doverosa arroganza nei confronti di coloro che vorrebbero imporre all'universo mondo moderno il loro provincialissimo capitalismo e il loro antiquato cristianesimo.
Piergiorgio Odifreddi