Estratto dal Libro
Come previsto, al compimento del nono anno sono stato mandato a fare la preparazione religiosa per la Prima Comunione dai Gesuiti del Collegio S. Tommaso. La cultura religiosa era articolata su tre diversi temi di studio: gli episodi della Bibbia e del Vangelo raccontati ai ragazzi, la vita dei santi, opportunamente selezionati, e il catechismo. Il catechismo era strutturato in domande e risposte che dovevano dare al bambino una visione completa, sia pur elementare, dei principi della nostra religione.
Questo modo di insegnare non lasciava spazio a nessun approfondimento, a nessuna contemplazione, a nessuna ricerca, che peraltro non solo non era richiesta al bambino, ma nemmeno desiderata dagli insegnanti. Quella era la verità e basta. D’altra parte a disposizione non vi era che questo. Sapevamo che esisteva una religione ebraica dalla quale, si diceva, la nostra derivasse. In fondo non si poteva negare che Cristo fosse un ebreo. Ma di questa religione non si doveva parlare. Il regime fascista stava sistematicamente massacrando gli ebrei, nel silenzio di chi sapeva e nell’ignoranza di chi non sapeva.
Vi erano, è vero, nelle nostre valli i così detti protestanti, specie Valdesi o Testimoni di Geova, ma noi vivevamo come se loro non esistessero, anzi ci avevano detto che erano pericolosi e quindi non si dovevano avvicinare.
Domanda: Chi ci ha creato?
Risposta: Ci ha creato Dio.
Domanda: Chi è Dio?
Risposta: Dio è l’Essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della terra.
A questo punto ho domandato: “dove posso trovarlo?” – “Non lo puoi trovare perché abita in cielo”. – “Ma se è il creatore del cielo e della terra, perché abita solo in cielo e non anche qui?”
A questo punto, per la prima volta è scattata la famosa frase che mi avrebbe perseguitato per tutti gli anni della mia crescita. “Questo è un mistero, non lo puoi sapere”.
Così fra indottrinamento e misteri la mia istruzione religiosa continuava.
Avevo delle grosse difficoltà ad accettare che vi fosse tanta diversità tra chi “stava bene” economicamente ed il povero. Perché, se siamo tutti figli dello stesso Dio e siamo venuti, così come diceva il catechismo, per “amarlo e servirlo in questa vita (che si diceva essere una sola) e per goderlo poi nell’altra in paradiso”, vi erano così tante differenze sostanziali nelle nostre vite?
Ancora una volta ho chiesto: “Ho capito che è un mistero il perché non posso godere Dio in questa vita e quindi devo attendere la prossima, ma perché dobbiamo servirlo, noi in una vita abbastanza ricca dove beviamo bene e mangiamo meglio, dove non vi sono difficoltà economiche e gli altri bambini devono servirlo nella miseria e nelle privazioni di una vita povera?” La risposta, la ricordo assai bene, è stata: “questo non c’entra con il catechismo, pensa a studiare le risposte e non cercare di sapere quello che nessuno sa”.
Avevo capito che anche questo era un mistero.
L’uomo aveva peccato in Adamo per tutta l’umanità. Ecco un altro mistero.
Perché io pecco solo per me e lui ha peccato per tutti?
Dio lo aveva condannato a vivere in questo mondo faticando e tribolando sudore e lacrime per avere mangiato una mela e aveva condannato Eva a partorire con dolore sempre per la stessa mela. Mi sembrava di vedere un Dio troppo severo, anche un po’ crudele.
“No”, mi fu detto, “perché Dio è amore ed ha mandato il suo figlio unigenito a riscattare l’umanità dal peccato”. Era questa indubbiamente una dimostrazione dell’amore di Dio.
A scuola avevo però già imparato che l’“homo sapiens”, alla cui specie noi apparteniamo, è comparso sulla terra circa 150.000 anni fa. Adamo doveva essere certamente più vecchio. Il mio intelletto ha fatto i conti ed ho commentato: “se così stanno le cose, non mi sembra che Dio sia poi un’espressione di amore così grande se si è vendicato condannando l’uomo alla sofferenza e alla privazione per 148.000 anni prima di mandare il Cristo a redimerci dal peccato!
E poi c’era bisogno di massacrare sulla croce il suo figlio unigenito? Non era sufficiente che togliesse semplicemente la condanna con una parola? In fondo Egli così l’aveva pronunciata, così la poteva togliere!”
Il tutto mi era sembrato anche molto sadico, ma non lo potevo dire. Ho semplicemente concluso: “ma questo è un mistero, vero padre Eula?”
Ho visto padre Eula illuminarsi in un sorriso: “vedo che hai capito!”
Cosa avevo capito? Avevo forse capito che non potevo capire? Mah!! Mistero.
Padre Alberto Maggi, insigne biblista, in un suo discorso, parlando delle difficoltà di comprensione del Vangelo e delle incongruenze delle Scritture dice:
“Allora quando uno si trova di fronte a queste difficoltà, normalmente, ricorre alla persona che crede esperta, spesso il parroco, e il prete, poveretto, che non sa neanche lui come destreggiarsi, usa una formula magica che è: bisogna aver fede. (…) E’ chiaro. Io leggo il Vangelo e non lo capisco. Mi dicono di aver fede, ma la fede dipende proprio dal Vangelo che non capisco. E allora? Allora l’altra parola magica che, normalmente, viene abbinata a “aver fede” è “è un mistero”. E con la parola mistero si risolve tutto quanto (…) Allora, mistero dopo mistero, un mistero dopo l’altro, i “misteri della fede” diventano “la fede dei misteri. Bisogna credere senza capire”.
E, anche per me, i misteri aumentavano man mano che la mia discriminazione cresceva. Con essa cresceva la ricerca. Perché, come, quando? Non vi era una logica in tutto ciò che mi si diceva essere la Verità. Nulla era chiaro. Non soltanto era impossibile conoscere questo Dio in questa vita, ma era anche poco credibile che dell’intera umanità che ammontava a quell’epoca a circa quattro miliardi di persone, solo noi avessimo il Dio vero. Tutti gli altri erano forse nell’errore? Se così era, l’amore di Dio, dopo 2.000 anni, non si era ancora realizzato che per pochi. Erano anche gli altri fi gli di Dio così come lo siamo noi?
Se no, perché io ero nato in una famiglia che aveva ereditato la Verità e tutti gli altri forse non l’avrebbero mai ricevuta? Dove era la giustizia di Dio? Potevo accettare l’ingiustizia che vi fosse un ristretto popolo eletto, senza merito? O l’ingiustizia di un immenso popolo negletto, senza demerito? Se la vita era una sola, dove erano le pari opportunità e se non vi erano, perché Dio discriminava i suoi figli in figli e figliastri? Tutto questo non solo non aveva ragione né logica, ma era anche profondamente ingiusto.
Questo Dio pareva avere tutti i difetti degli uomini portati all’eccesso e questi umani nessun pregio divino, pur essendo, così si declamava, immagine e somiglianza di Dio. Che mistero immenso ed apparentemente ingiusto! E che dire della Trinità? Si dice forse alla gente la ragione per cui questo Dio–Uno debba essere contemporaneamente Trino? Che senso ha? Non poteva l’Uno restare Uno? E poi perché si fa credere alla gente che solo il nostro Dio sia Uno e Trino quando si sa per certo che tutte le religioni, tutte le scuole di ricerca della Verità, lontane o vicine, antiche o moderne, vedono il Divino come Uno e Trino?
[…] No, nessuno ci parla con chiarezza di tutti questi interrogativi. Siamo sepolti dai misteri. Tutto ciò che conta è un mistero. Non lo posso conoscere. Allora questa mente, questo meraviglioso intelletto, mi è stato dato da Dio solo per conoscere cose superficiali? Solo per soddisfare le mie piccole necessità quotidiane, solo per fare chiacchiere da salotto? Oppure, al contrario, questa mente, questo intelletto mi è stato dato per scoprire e vivere la mia vera natura, per conoscere la ragione della vita e di me stesso, per risolvere tutti questi interrogativi, tutti questi misteri? […]