Estratto dal libro
Pochi viandanti hanno il coraggio di avventurarsi nel Deserto dell’Anima, lo sconfinato deserto ai margini meridionali del Continente, talmente grande che non si sa dove finisce e di cui non si hanno nemmeno mappe dettagliate.
Se le prime propaggini del deserto sono ancora vivibili, la situazione diviene assai più difficile proseguendo ulteriormente verso sud: in questo caso il sole diviene fuoco, l’acqua assai rara, e i miraggi frequenti.
Questo, almeno, capita ai viaggiatori incauti, mentre i Berberi Fezzan, che vi vivono, conoscono ogni anfratto del deserto, e sanno ove si trovano le oasi in cui vi è acqua, o i villaggi in cui trovare compagnia o assistenza, e in cui vendere quanto si ha da vendere.
Se i Berberi si muovono come in casa loro, non è così per i viaggiatori del Continente, che spesso nell’avventurarsi nel Deserto dell’Anima hanno trovato morte, sofferenza e miseria.
Tuttavia, a coloro che affermano che il deserto è crudele e ingeneroso, i Berberi Fezzan sovente raccontano la storia di Giuseppe, un giovane uomo della Pianura Campidana che si era addentrato nel deserto per sfruttare una cava piena di gemme di quarzo citrino, che il calore della terra e del sole aveva reso dorate e splendenti.
Egli aveva studiato le mappe e chiesto informazioni e, sentendosi pronto per l’impresa, era partito con i suoi due fratelli alla ricerca di pietre preziose da vendere nei ricchi bazar del nord.
Qualcosa però andò storto, ed egli non seppe mai cosa: i tre finirono fuori strada, forse attratti da un miraggio ingannatore, esaurirono le riserve di cibo e acqua, e i loro cammelli morirono.
Morirono anche i due fratelli di Giuseppe, ed egli stesso era vicino al saluto finale, quando il deserto gli fece il sommo dono e gli rivelò il mistero di chi lui era e cos’era tutto ciò che aveva intorno.
Destatosi da quella rivelazione, guardò le stelle del cielo e trovò la via di ritorno.
Quel giovane uomo campidano passò il resto della sua vita a testimoniare la grandezza del Deserto dell’Anima e di tutto il Creato, nonché la grandezza dell’uomo, poiché, di qualunque razza egli sia, esso è molto più vasto di quanto ritenga di essere.
I Fezzan concludono la loro storia dicendo che nel deserto sembra che non vi sia nulla, ma in realtà in esso si trova quanto c’è di più prezioso: se stessi.
Per coloro che non comprendono il senso della storia, i Berberi aggiungono che i sensi ingannano e l’uomo saggio diffida di essi, che le cose semplici sono quelle di maggior valore, che le sabbie del deserto cancellano tutto tranne le orme del momento presente, e che quando nella vita ci si perde occorre rivolgersi al cielo.
Dopodiché, non aggiungono altro e vanno per la loro strada, con quella loro andatura tozza e quei bitorzoli cornuti sulla testa.