L'opera di R. A. Schwaller de Lubicz, "I Templi di Karnak", disvela il perenne fascino esoterico dell'Antico Egitto.
Tuttavia, la più vivida descrizione non può replicare l'esperienza diretta e l'impatto emotivo che si prova visitando i monumenti di una civiltà così distante e misteriosa. Geograficamente l'Egitto è vicino alla nostra Europa, i suoi resti monumentali sono ricchissimi, i documenti scritti sono numerosi e ci informano sul suo culto religioso e sulla sua storia, tuttavia il contatto con questo suolo e con i suoi monumenti ci lascia l'impressione di sfiorare un mondo sconosciuto a chi non fa parte di quella cultura. Non ci è ostile, non ci opprime.
La sua arte non ha nulla di sensuale e tuttavia ne sperimentiamo la bellezza, ma resta 'lontano da noi'. Il senso del 'lontano da noi' che prova il visitatore di questo strano esempio di un'antica altissima civiltà ha, da sempre, fatto parlare del "misterioso" Egitto e, per quanto ricchi siano i documenti accumulati dai nostri archeologi, l'Antico Egitto resta davvero sempre misterioso, perché nessuna logica ci permette di comprendere l'insieme del suo culto, o la reale struttura della sua organizzazione sociale.
Durante la magnifica passeggiata che il lettore dell'opera farà attraverso i monumenti, le rovine, le statue e i bassorilievi dei Templi, si porrà molte domande. Le risposte non hanno potuto trovar posto in quest'opera che doveva accontentarsi di presentare nel modo più semplice, ma anche il più chiaro possibile, ciò che le conoscenze storiche dell'egittologia classica hanno creduto di poter stabilire o supporre. Il libro è un percorso incantato attraverso i resti di un mondo consacrato a una fede inattaccabile nella sopravvivenza, una fede la cui certezza sembra abbia esaltato costruttori, artisti ed artigiani, come avvenne, per pochi secoli, nel nostro Medio Evo, quello delle cattedrali.