Introduzione
Mia madre era la persona più splendida e più esasperante che abbia mai conosciuto: era una narcisista.
Per molto tempo non me ne sono reso conto, finché non sono arrivato all'università e mi sono immerso in un testo introduttivo di psicologia. Lì, stampata in bei caratteri in grassetto, subito sotto un'illustrazione del giovane Narciso che ammirava la sua immagine riflessa in una pozza d'acqua, stava la parola narcisismo.
Quando ho letto la definizione che l'accompagnava, ricordo di essermi sentito al tempo stesso sollevato e sconvolto: quel termine coglieva perfettamente il paradosso di mia madre.
Era la figura incandescente della mia fanciullezza, incontenibilmente estroversa, contagiosamente divertente e meravigliosamente premurosa. Il mondo sembrava ruotare intorno a lei. Bionda, appariscente, alta quasi un metro e ottanta, con un accento britannico che le veniva dagli studi compiuti lì, sembrava riuscisse a mettersi in relazione ovunque andasse, dal droghiere come al bar o dal parrucchiere. Era legatissima agli amici, che asteneva nella cattiva salute e nelle difficoltà, e dedita al miglioramento della sua comunità, non importa se il progetto era i pulizia di uno spazio per giocare o l'organizzazione di una vendita di torte. E come moglie e madre era sempre presente per suo marito e per i suoi figli, mio fratello e io, dispensando generosamente amore e consigli.
Ma quella sua brillantezza è andata gradualmente affievolendosi, mentre gli anni passavano, per me e per lei.
Sembrava che con il tempo diventasse sempre più centrata su se stessa.
Vantava i traguardi raggiunti da giovane come ballerina, a volte sottolineando le sue affermazioni con la dimostrazione (a quel punto un po' goffa) di una spaccata o di un plié. Vantava le sue conoscenze, i suoi incontri con celebrità (anche se non capivo mai quanto ci fosse di vero e quanto di immaginato).
Il suo aspetto divenne per lei un'ossessione: contava agitata le rughe e andava a caccia di macchie sul corpo, digiunava per conservare la sua linea. Interrompeva le persone mentre parlavano, anche mentre stavano condividendo momenti di dolore e di ansia.
Una volta, mentre cercavo di raccontarle la mia sofferenza per una storia d'amore troncata, mormorò quasi sognante: "Io non ho mai avuto problemi a trovare qualcuno con cui uscire". Rimasi sconcertato dall'incongruenza.
Che cos'era successo a mia madre? L'università mi proponeva la parola narcisismo ma in realtà non capivo bene che cosa significasse. Avevo così tante domande.
Era sempre stata una narcisista e io non me n'ero mai accorto? Era stata improvvisamente spinta a diventarlo dalle circostanze, cioè dall'invecchiare? Potevo fare qualcosa per riavere indietro la donna amorevole e altruista che ricordavo dalla mia infanzia?
Mi sono dedicato a trovare delle risposte.
In biblioteca ho consultato libri e articoli di riviste, da Freud in poi. Nel corso della mia formazione come psicologo, ho fatto un tirocinio con uno dei maggiori esperti di narcisismo. Ho vinto una borsa di ricerca, dopo il dottorato, con un progetto che si concentrava sui soggetti con disturbi della personalità, con la speranza di comprendere meglio il disturbo narcisistico di personalità (NPD, narcissistic personality disorder), la forma più estrema di narcisismo.
Ho imparato moltissimo in quegli anni, ma avevo ancora la sensazione che la mia comprensione fosse incompleta.
Poi, un giorno, ho visto qualcosa che ha cambiato il mio modo di intendere il narcisismo, in mia madre, nei miei clienti e in me stesso, per sempre.
Mio padre era morto da poco e mia moglie Jennifer e io avevamo intrapreso il doloroso processo di trasferimento di mia madre, da una casa grande e lontana a un appartamento più piccolo ma vicino a noi. Lo spazio ristretto in cui si ritrovava l'ha portata a un punto di rottura. "Bel posticino che mi avete riservato!" ha borbottato sarcastica.
Ha passato la prima notte in un hotel in zona, per poi arrivare in taxi all'appartamento, il pomeriggio dopo, per incontrarci. Abbiamo ricominciato a disfare i bagagli, quasi sempre in silenzio e per lo più senza aiuto da parte sua. Non è passato molto tempo che è scomparsa di nuovo in taxi, questa volta per andare a spendere cifre esorbitanti in "decorazioni".
Siamo andati avanti così per una settimana, con mia madre che passava le notti in albergo e le giornate a fare shopping, finché una sera tardi ha annunciato, con un sospiro esagerato, "Ho bisogno di mettermi comoda!".
E' scomparsa in camera da letto dove l'abbiamo sentita frugare fra le scatole e dopo qualche momento è ricomparsa indossando scarpe con un tacco altissimo - Manolo Blahnik, ci ha informati orgogliosamente. "Ecco," ha detto sospirando, "Adesso posso rilassarmi. Almeno le mie scarpe sono meglio di questo posto." Le scarpe, evidentemente, la facevano sentire speciale.
E' stato allora che ho capito.
Mia madre usava il "sentirsi speciale" come un bastone, qualcosa su cui appoggiarsi quando si sentiva impaurita, triste o sola. Invece di rivolgersi a me, a mio fratello, a Jennifer (o a chiunque altro) e parlare di quanto si sentisse spaventata all'idea di vivere da sola, si affidava al sentirsi migliore di altre persone (con le sue Manolo) ..