L'argomento della morte è sempre complesso e molto discusso, poiché si tratta del tentativo di dare una risposta a un evento senza pari nell'esistenza umana.
Per il credente di ogni religione, il destino dopo la morte costituisce il più grande enigma dagli albori dell’umanità.
Se nelle religioni rivelate questo destino è affidato alla volontà di Dio, nel buddismo tibetano questo momento esiziale è invece nelle mani dell’individuo stesso. In un labirinto di luci e apparizioni, la strada per la liberazione dell’anima si manifesta ad ogni passo, insieme alla ricaduta nelle spire dell’esistenza.
Ma ricordandoci sempre che tutto ciò che appare è, in realtà, lo specchio di noi stessi e della nostra mente, condizionata dalle vite passate e dalle tendenze. Una serie di testi fondamentali corollario al celebre Libro Tibetano dei Morti, in cui la cultura tibetana torna ad esprimere tutta la sua arcana sapienza.
Ma, soprattutto, il suo essere al servizio dell’uomo e della sua libertà d’azione, di fronte ad un dio e ad un mistero considerati nient’altro che il prodotto della sua stessa mente.
Estratto dal libro
Sottolineando la necessità di avere ben chiara la conoscenza che tutto quello che dopo la morte sarà percepito “è una mera visione, una mera illusione, e non riflette alcun
oggetto realmente esistente”. Tutto ciò che occorre è quindi non lasciarsi travolgere dal terrore e contenere l’agitazione della propria mente, perché quello che nel corso di questa esperienza sarà scorto, al pari della precedente esistenza terrena, non è reale e nient’altro che il prodotto della propria mente: “Tutto quello che stai vedendo è scaturito dalla tua mente, tutto quello che vedi non è altro che il contenuto della tua mente riflesso nello specchio della Vacuità!”.